# 7 Baggio e la fortuna

Mondiali & Parole – Il settimo racconto: “Baggio e la fortuna” a cura di Luciano Cimbolini

Il Destino dà, il Destino toglie. Questo, più o meno, è ciò che ha detto Andriy Shevchenko dopo l’impossibile finale di Champions persa dal Milan con il Liverpool ad Istambul, nel 2005. E questo é l’insegnamento di due dei tre Mondiali giocati da Roberto Baggio. Usa 1994 e Francia 1998.

Il calcio, seppur con tutti i suoi vizi (e anche grazie a questi), è comunque metafora di vita e, spesso, specchio verosimile della società.

Baggio, il più grande talento del calcio italiano dai tempi di Gianni Rivera. Stella internazionale di prima grandezza, che molti collocano fra i n. 10 migliori di sempre. Concordo.

Baggio è uno di quei giocatori che stanno nel terzo cielo. Prima Maradona e Pelè, poi i grandissimi (Platini, Cruijff, Di Stefano, Van Basten, Zico, Puskas e qualcun altro). E poi quelli (si fa per dire) come Baggio. Uomo mite e corretto, non a caso Buddista, ma che sul prato verde, con il suo talento enigmatico, sfoggiava giocate luciferine.

Il Codino ha avuto, come qualsiasi grande artista, due fasi e due carriere.

La prima, da giovane, ai Mondiali del 90 e del 94, è stata quella di un giocatore che bruciava l’erba, saltava intere difese e andava in porta da solo. La seconda, dopo che le ginocchia hanno iniziato a cedere, quella di un maestro del calcio che intuiva varchi dove il resto del mondo vedeva solo muraglie.

La palla era una sua amica ubbidiente che, ai suoi voleri, faceva traiettorie ardite. Andate a vedere la faccia di Van der Saar dopo un suo stupefacente “stop and goal” con il pallone di Pirlo che gli giungeva dalle spalle, in un Juve – Brescia di molti anni fa.

Sono certo che con ginocchia migliori, sarebbe sicuramente salito di livello nell’Empireo pallonaro.

Due tiri mondiali di Roberto Baggio sono la plastica rappresentazione di come la linea di confine fra successo e fallimento sia molto, molto, sottile.

Usa 1994, al minuto 88 perdiamo 1 a 0 con la Nigeria, che sta irridendo una delle Italie più brutte di sempre. Mussi vince un rimpallo in area sulla destra e mette la palla dietro per Baggio che, da una quindicina di metri, batte di destro ad uscire. Il suo é il classico colpo di biliardo diretto sul palo interno per poi entrare in rete. E così accade. Ma il destino vuole che quel pallone passi, lentamente, in uno spazio di un millimetro più grande della sua circonferenza, fra il piede di Massaro e il tacco del difensore nigeriano, sfiorandolo. Un millimetro più in là e saremmo stati eliminati. Invece da lì in poi facciamo un gran Mondiale fino ad arrivare in finale, perdendola ai rigori con un Brasile antiestetico, che vince anche grazie ad un Baggio a mezzo servizio. Con la sua gamba a posto, sono sicuro che avremmo vinto. La Fortuna dà.

Quattro anni dopo, a furor di popolo, nonostante lobbies economico-pallonare contrarie (e qui sono oltre modo clemente usando il termine lobbies), il nostro C.T. è costretto a convocarlo. Nonostante numeri favolosi nel girone eliminatorio, lo tiene in panchina nel quarto con la Francia. Giochiamo male. La Francia meriterebbe. Poi lo fa entrare. E stavamo per vincere. Al 12′ del primo tempo supplementare, Albertini, al limite dell’area di rigore francese, inventa un pallonetto per Baggio, che, da destra, di collo esterno, batte al volo. La girata in corsa dell’azzurro è perfetta. La palla supera Barthez, fa ammutolire Saint Denis, ma si spegne sul fondo dopo aver dato l’illusione, soltanto l’illusione purtroppo, del goal. C’è un inquadratura dal basso che mostra bene quanto quella traiettoria sia andata vicino al palo esterno. La Fortuna toglie.

E’ proprio vero che nel calcio, come nella vita, nessuno sa se siano decisivi per il conseguimento sia della gloria (vana) terrena, sia della ben più importante felicità, il merito e l’impegno individuali o i ciechi percorsi del destino.

Forse ha ragione Machiavelli quando afferma che la virtù del singolo e la fortuna si tengono a vicenda: le doti del politico (uomo) restano puramente potenziali se non trovano l’occasione adatta per affermarle, e viceversa l’occasione resta pura potenzialità se l’uomo virtuoso non sa approfittarne. Per Machiavelli, l’occasione, però, è quella parte della fortuna che si può prevedere e calcolare grazie alla virtù. Nei momenti di calma, si devono prevedere i futuri rovesci e predisporre i necessari ripari. Come si costruiscono gli argini per domare fiumi in piena.

O forse ha ragione quell’altro fiorentino, ancor più grande, che risponde al nome di Dante Alighieri, per il quale la Fortuna non è il cieco e pagano destino, bensì uno spirito angelico incaricato dalla Provvidenza, quale buona ministra, di distribuire tra gli individui e i popoli i beni terreni come ricchezza, onori, bellezza, forza, potenza, gloria, (felicità?), e di trasferirli, di quando in quando, secondo i disegni imperscrutabili di Dio. E per questo vane sono le opposizioni degli uomini, i quali, non comprendendone la natura divina, talora inveiscono ingiustamente contro di Lei. Ma Lei, incurante delle calunnie, anzi sempre lieta perché esegue la volontà di Dio, continua a svolgere il compito che Le è stato assegnato.

Quién sabe… Un prato verde e una palla rotonda, a ben vedere, possono suscitare anche dilemmi di tale portata.