# 6 Benetti e la paura

Mondiali & Parole – Il sesto racconto: “Benetti e la paura” a cura di Luciano Cimbolini

Il 2 giugno 1978 Bruce Springsteen pubblica “The darkness on the edge of town”. Il primo pezzo dell’album è la dura “Badlands”, uno dei pochi pezzi che il Boss ha sempre suonato negli ormai numerosi concerti che ho visto dal 1988 in avanti. Di solito è la canzone che apre lo show. In Anghiarese dovrebbe significare, più o meno, “Postacci”…. “Bassifondi, devi viverci ogni giorno,

lasciate che i cuori infranti si facciano avanti con il prezzo che devono pagare, continuiamo a spingere fino a che non sarà tutto chiaro, questi bassifondi cominceranno a trattarci un po’ meglio”.

Così canta il Boss nel refrain.

Il primo giugno 1978 inizia il Mondiale d’Argentina.

Anche in questo caso la coincidenza rock/calcio è perfetta. L’Argentina nel 1978 è veramente un “Postaccio”. Una feroce dittatura di destra insanguina il Paese, che è stato tirato a lucido per il Mondiale. La gente soffre, uomini e donne muoiono, bimbi spariscono, ma lo spettacolo deve andare avanti. Da molti anni mi chiedo se siano più ridicoli i dittatori di destra o di sinistra. Forse bisognerebbe fare un referendum. Quelli argentini lo erano comunque molto.

E’ il Mondiale più violento che io abbia mai visto e non poteva essere diversamente. Non ci sono né Cruijf né Maradona. Vince l’Argentina guidata dal Caudillo Passarella in finale contro l’Olanda, in una delle partite più feroci di sempre. Sangue e denti che volano, roba da Grand Guignol, perché anche gli Orange mica scherzano, soprattutto nel secondo tempo quando hanno compreso appieno l’aria che tira al Monumental.

A noi, nel secondo tempo della famosa ultima partita del secondo turno (definizione lunga, ma tecnicamente non si tratta di una semifinale) ci hanno vergato di brutto e ci hanno affondato con due siluri di Brandts e Haan. Ma non è più l’Olanda del 74, quella, che pur non vincendo (come l’Ungheria del 54), viene ricordata come la più grande squadra di sempre. E’ una squadra più fisica, meno tecnica, adeguata ai tempi brutali del 78 argentino.

Noi invece siamo una delle migliori nazionali di sempre. Gioco brillante e veloce, con i grandissimi Causio e Antognoni, gli imprendibili Rossi e Bettega. E dietro le rocce Benetti, Gentile e Bellugi. A completare il quadro, tre fra i nostri più grandi campioni di sempre: Scirea, Cabrini e Tardelli. In porta Zoff. Il primo rincalzo Zaccarelli. In panchina Enzo Bearzot.

Facciamo un gran Mondiale. Finiamo quarti e gettiamo le basi per l’82.

All’interno del nostro percorso, però, c’è una delle più grandi, se non la più grande impresa, dell’Italia calcistica. Una di quelle partite per cui si è fieri di essere italiani.

10 giugno 1978, Estandio Monumental, 71 mila spettatori circa. Molti sono emigrati italiani di prima e seconda generazione. Il regime di Videla, Galtieri, Massera, Astiz, Agosti, si aspetta una larga vittoria. Le due squadre sono già qualificate al secondo girone eliminatorio e in palio c’è “solo” la vittoria nel raggruppamento, che significa rimanere a Buenos Aires. E si sa che quando non conta l’Italia non c’è….

Invece quel giorno contava. Contava per i nostri emigrati, contava per smentire l’ambiente eternamente scettico, contava per un gruppo di giovani che volevano dimostrare di non avere paura di nulla (come vedremo quattro anni dopo in Spagna), che volevano espugnare l’Inferno anche se in palio ci fosse poco o nulla di tangibile.

E quello era un Inferno calcistico. Dall’altra parte, sotto la guida del Flaco Luis Cesar Menotti, c’era l’armata del regime. Grandissimi giocatori. Dal primo all’ultimo. Ma sopra tutti Daniel Passarella, Mario Kempes, Daniel Bertoni e Osvaldo Ardiles. Ardiles era un giocatore fantastico. Piccolo, veloce e stranamente corretto. Tecnica sopraffina e intelligenza super. Un unico neo: una non marginale somiglianza con Bob Rock del Gruppo T.N.T. Era amato anche in Inghilterra ai tempi delle Falkland. E poi chi non ricorda la sua Bicicletta in Fuga per la vittoria?

Di Bertoni cosa si può dire, se non che i suoi scambi con Hugo Bochini nell’Independiente sono stati ammirati anche da Diego Armando Maradona. Testuale “Le triangolazioni che facevano Bochini e Bertoni mi sono rimaste impresse come le giocate maestre della storia del calcio”.

Ma quelli della Albiceleste erano anche feroci picchiatori, Passarella, Olguin, Galvan e Gallego su tutti.

I nostri però da questo punto di vista non temevano nessuno. Gentile, Cuccureddu (subito entrato al posto di Bellugi) e Tardelli non erano tipi che toglievano la gamba.

Ma il più duro era Romeo Benetti che lasciò tracce profonde in quell’Inferno. Uomo del Nord, veneto, biondo, occhi di ghiaccio. E’ da sempre in cima alle classifiche dei Villains del calcio. Ma era anche un mediano fortissimo, con un gran tiro da fuori. E poi aveva un hobby incredibile: allevava canarini.

Quel giorno fu dominante. Il mio fermo immagine di quel match è Benetti che stende Olguin in mezzo al campo e poi a gioco fermo abbatte pure Kempes. E poi, immobile in mezzo alla baraonda, con la mano fa il verso agli altri argentini: “state calmi”.

Alla fine del salmo, vinciamo 1 a 0. Al 67 azione lampo: Antognoni a Bettega, Bettega a Rossi e Rossi di tacco per Bettega che in diagonale batte Fillol. Il Monumental si spenge. Teniamo fino alla fine. Vinciamo partita, girone e regime. L’Inferno è espugnato.

Con gli arbitraggi attuali quella partita sarebbe finita 4 contro 4. A quei tempi, ci fu un solo ammonito. E’ sin troppo facile indovinare chi fu. Per chi non ci arriva da solo, diciamo che fu Romeo Benetti.

Per questo motivo i giovani mi devono credere quando dico che, con gli arbitraggi attuali, Maradona vincerebbe la Champions da solo.

E che è proprio vero quanto (non esattamente in questi termini) affermava Wiston Churcill “Gli italiani fanno le guerre come partite di calcio e giocano le partite come fossero guerre”. E più conosco il mondo e più penso che sia una virtù più che un vizio.